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04 Giugno 2022

Il 4 giugno 1987 moriva Maurizio Vitale, il fondatore della Robe di Kappa. Lo ricorda il figlio Juni: “Mio papà ha tracciato una strada che altri hanno seguito”

L’imprenditore torinese se ne andava a soli 42 anni stroncato dall’Aids. Il Kappa Futurfestival, che torna dopo due anni di stop causa Covid, sarà dedicato a lui nel 35° anno della sua scomparsa

TORINO. Sono passati 35 anni dalla morte di Maurizio Vitale, l’uomo che creò la Robe di Kappa. Era ancora troppo giovane, il 4 giugno 1987, quando l’Aids se lo portò via, aveva solo 42 anni ma già aveva scritto pagine importanti per l’imprenditoria italiana e per Torino. Il suo marchio d’abbigliamento aveva saputo imporsi anche all’estero, grazie a un’intelligente campagna di marketing: si pensi solo alla collaborazione con la nazionale di atletica degli Stati Uniti, vestendo fenomeni come Carl Lewis, Mary Decker, Edwin Moses e Calvin Smith, o a quella con la Juventus. Quel logo con la ragazza e il ragazzo, seduti schiena contro schiena, disegnato nel 1968, aveva ormai iniziato il suo giro del mondo. Piaceva ai giovani, la scommessa era stata vinta. Nato come marchio di biancheria intima, aveva iniziato la sua trasformazione quando Vitale, ispirato da John Lennon che indossava la camicia militare di un soldato caduto in Vietnam, aveva deciso di tingere di verde le magliette in magazzino, arricchendole con patch militari. L’avventura era iniziata. L’aneddotica vuole che anche il nome sia figlio di una sua intuizione. «E come le chiamiamo queste robe qui?», gli chiese Giuseppe Lattes, presidente dell’azienda della famiglia Vitale, Maglificio Calzificio Torinese (MCT). «Robe? Allora chiamiamole Robe di Kappa, dottore», fu la risposta del giovane Maurizio. Anche dietro Kappa c’è una storia curiosa: venne infatti apposto sulle calze per fare dimenticare una partita fallata. Misero «la lettera K per dare l’idea che fossero state controllate da una società tedesca che avrebbe poi timbrato con l’iniziale di “Kontroll”, raccontò qualche anno fa l’attuale proprietario del brand, Marco Boglione.

E come dimenticare poi il provocatorio slogan «Chi mi ama mi segua» creato per lui da Oliviero Toscani per promuovere i jeans Jesus, altro brand creato da Vitale negli Anni Settanta. Intervenne anche la magistratura: obiettivo pienamente colpito. Per la produzione in Urss firmò, nel 1979, un’intesa da 100 milioni di lire con i sovietici. Portare i jeans proprio là, dove fino a quel momento erano circolati solo come merce di contrabbando, fu davvero una grande colpo. Perché questo era Maurizio Vitale, un imprenditore illuminato che seppe far crescere il Maglificio Calzificio Torinese, risollevandolo dalle difficoltà che aveva conosciuto nel suo mezzo secolo di vita.

A tenere vivo il ricordo di Maurizio Vitale ci pensa uno dei tre figli, quello che porta lo stesso nome del padre e che ha fondato a Torino il Kappa FuturFestival, uno dei grandi eventi dedicati alla musica elettronica più noti e apprezzati al mondo: «Questo è anche il mio modo di rendere omaggio alla memoria di mio padre. Mi fa piacere dedicargli questo nuovo inizio». Dopo i due anni di stop forzato causa pandemia da Covid, l’evento tornerà con la sua nona edizione da venerdì 1 a domenica 3 luglio, al Parco Dora, con oltre 50mila presenze già confermate: giovani che arrivano da tutta Italia e tutta Europa per ballare con alcuni dei dj più importanti al mondo.

«Quando è morto avevo 11 anni – racconta Maurizio “Juni” Vitale –, quindi molte cose che so di lui mi sono state raccontate da altri: oggi posso dire che mi manca non avere avuto nella vita una figura saggia alla quale rivolgermi nei momenti di difficoltà». Tra i suoi ricordi e le altrui testimonianze emerge il ritratto di «un uomo che era molto curioso, empatico e dotato di grande umanità. Mi raccontano fosse anche simpatico. Ma sai, quando uno muore presto tende a diventare un mito. Sono sicuro che avesse anche grandi difetti eh, ma l’eredità che mi ha lasciato è la sua immagine, ancora oggi c’è gente che mi ferma per parlarmi di qualcosa che aveva fatto mio papà». Pensiamo a cos’era all’epoca il Maglificio dei Vitale: «L’azienda fondata dal mio bisnonno e poi passata prima al nonno e poi a mio padre era arrivata ad avere mille collaboratori, perché all’epoca molta manifattura era fatta in casa. Poi parte del lavoro venne spostato in Europa e quindi si ridusse come numeri qua. Il giro di affari era di un paio di centinaia di miliardi di lire, perché la mia famiglia era proprietaria anche della argenteria Cesa. Con mio papà c’erano 500 dipendenti diretti, ai quali andava aggiunto l’indotto, e la distribuzione interessava oltre cento paesi nel mondo».

C’è poi tutto l’aspetto legato al marketing: «L’impatto sulla comunicazione e l’aspetto tecnologico che portò soprattutto con la collaborazione con la nazionale americana fu una anticipazione della strada che avrebbero preso molte imprese nei decenni successivi. Nell’ambito delle sponsorizzazioni sportive mio papà fu probabilmente un antesignano a livello mondiale». Era un’azienda al passo con i tempi, anzi che li anticipava: «Seguendo l’esempio di mio nonno, c’era un’attenzione al welfare che sarebbe poi diventato obbligatorio per tutti. Il grande anticipatore fu Olivetti, ma mio nonno, che aveva più o meno la stessa età, seguì anch’egli quella strada». Oggi la Robe di Kappa è nelle mani della BasicNet di Marco Boglione, «che sta proseguendo in maniera molto più che rispettosa l’eredità di mio papà, seguendo quel percorso di attenzione al welfare, alla sostenibilità e al rispetto del lavoratore che era stato tracciato. Con la differenza che oggi l’azienda, con tutto il gruppo, è cresciuta probabilmente di dieci volte rispetto ai tempi di mio padre: è un’azienda solida e quindi anche più rassicurante».

Quando Maurizio Vitale morì, avere l’Aids era uno stigma: «Mi colpì molto l’articolo di Repubblica che diede la notizia della sua morte, furono loro i primi a scrivere dell’Aids. La cosa mi disturbò perché all’epoca quella malattia non era conosciuta e vissuta come oggi. Mi pesò per molti anni la narrazione, in parte sicuramente vera, che chi si ammalava di Aids era omosessuale o tossicodipendente. Non nego che entrambe le etichette allora mi pesarono molto. Non ricordo però atteggiamenti di altro tipo né individuali né mediatici che mi disturbarono».

Scarica l'app Kappa FuturFestival ufficiale

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